Il 2016 dei bambini
Parla l’onorevole Sandra Zampa, vicepresidente della Commissione Bicamerale Infanzia. Dalla povertà alla famiglia, dai minori non accompagnati alla scuola, dall’emarginazione al drop out… ecco quali sono le sfide dell’anno che si è appena aperto
Intervista di Gabirlla Meroni a Sandra Zampa su Vita del 14 gennaio 2016
Quando si parla di minori e del loro benessere, non si può mai dire di aver chiuso la questione. Esistono sempre aspetti da migliorare, sfide da affrontare, problemi da risolvere. Per l’anno che si apre abbiamo chiesto all’onorevole Sandra Zampa (Pd), deputato e vicepresidente della Commissione parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza, nonché promotrice di un’importante proposta di legge sull’organizzazione dei servizi di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, di fare il punto sulle questioni ancora aperte per il 2016, in un’ottica propositiva, di fiducia nel futuro e di volontà di lavorare a soluzioni concrete.
Onorevole Zampa, di recente lei ha espresso apprezzamento per le iniziative del governo che nella legge di stabilità ha inserito risorse per contrastare la povertà dei bambini e delle loro famiglie. E’ sufficiente questo primo passo? E a che punto siamo su questo fronte?
Il problema della povertà – assoluta, relativa ed educativa – dei minori italiani non è di oggi, ma anzi è cresciuto nel tempo senza che per anni si sia fatto nulla per risolverlo. Anzi, proprio quando la crisi mordeva di più si è scelto di tagliare fondi e finanziamenti, invece di intraprendere coraggiosamente la via degli investimenti. La commissione Bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza ha svolto una importante indagine conoscitiva sulla povertà di bambini e adolescenti consegnando oltre un anno fa al Parlamento un documento che evidenziava criticità gravissime. Ciò che preoccupa di più, anche alla luce dei nuovi e più aggiornati dati Istat, è che a fronte di un debolissimo miglioramento degli indici di deprivazione dell’infanzia, nel Sud nulla cambi. Il prezzo che bambine e bambini pagano oggi per una povertà enorme, materiale ed educativa, sarebbe di per sé sufficiente alla messa in atto di politiche di contrasto immediate e potenti. Di conseguenza oggi ci troviamo a rincorrere le raccomandazioni dell’Europa che ci ha invitato a spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale.
Quali sono le dimensioni del fenomeno?
In Italia questa condizione riguarda un milione e mezzo di bambini. I provvedimenti del governo nella legge di stabilità sono un ottimo segnale, ma è solo l’inizio. Se non si interverrà subito con azioni atte a ridurre il fenomeno sarà il paese tutto a pagare un salatissimo prezzo per quanto oggi sta accadendo. La politica deve mettere tutti nella condizione di poter competere domani non solo perché questo è giusto, non solo perché ce lo impone la Costituzione ma perché ce lo impone la ragione. Un paese che lascia in povertà le sue bambine e i suoi bambini è un paese che decreta la propria sconfitta. Occorre sicuramente alleviare la povertà materiale e assoluta, ma il passo successivo sarà responsabilizzare le famiglie perché facciano la loro parte, tutelando i figli, e rafforzare il sistema educativo nel suo complesso.
A proposito di sistema educativo, rafforzare la scuola secondo lei può contribuire ad arginare l’emarginazione sociale dei ragazzi?
Certo. La scuola può dare la possibilità di spezzare la spirale che porta i ragazzi provenienti dalle famiglie che spesso sono anche culturalmente più povere ad abbandonare precocemente gli studi ed essere privati delle competenze necessarie a vivere in un sistema socio-economico sempre più caratterizzato dalla conoscenza, perpetuando la condizione di emarginazione sociale vissuta dalla loro famiglia, una situazione che colpisce l’Italia in misura molto maggiore rispetto ad altri paesi Ue. Per questo è necessario un ulteriore passo in avanti nelle strategie per combattere gli effetti delle diseguaglianze sociali attraverso interventi che coinvolgono attivamente la scuola e il mondo della formazione.
La dispersione scolastica ha toccato nel nostro paese punte allarmanti. Che fare per contrastare il fenomeno?
Questo è un tema fondamentale che va affrontato puntando sulla prevenzione. Si sta facendo ancora troppo poco, come dimostrano i numeri del drop out in alcune regioni del Sud. Bisogna investire nel primo ciclo di istruzione affinché i bambini possano crescere in un ambiente stimolante e sicuro, in grado di vigilare sulla loro formazione e individuare i soggetti a rischio e le loro eventuali carenze formativi e motivazionali. Grande importanza riveste poi l’aspetto ricreativo e sportivo: offrire occasioni di impegno in questi ambiti riduce la dispersione scolastica, è ormai dimostrato.
Lei è l’autrice di un progetto di legge che mira a potenziare e migliorare l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia. Perchè questo provvedimento è così urgente?
Non possiamo più permetterci di non occuparci di questo tema, che ci deve interrogare anche per i numeri: a fronte di circa 12mila giovani arrivati qui da gennaio a oggi, di 4-5000 non si sa più nulla. Entrati nelle strutture di accoglienza, se ne sono poi allontanati facendo perdere le loro tracce. Sono ragazzi che, pur così piccoli, vengono in Europa per costruirsi un futuro, e chiedono a noi di offrire loro un’alternativa al circuito della criminalità organizzata o dell’illegalità diffusa. Compresi in una fascia di età che in genere va dai 13 ai 17 (ma talvolta scende anche sotto i 10), arrivano clandestinamente da soli, non accompagnati da un adulto. I dati disponibili si stimano sottodimensionati e poco rispondenti alla realtà sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, perché, ad esempio, sfuggono le vittime di trafficking, e tutti quelli che non sono mai entrati in contatto con il sistema istituzionale di accoglienza. Al contrario, sarebbe fondamentale avere una più realistica percezione del fenomeno poiché si tratta di minorenni che, essendo privi di riferimenti relazionali e di rappresentanza legale, sono maggiormente esposti a evidenti rischi di abuso, sfruttamento e violenza.
Che cosa prevede la sua proposta?
La proposta di legge prevede che possano entrare di diritto nel circuito Sprar riservato a richiedenti asilo, e che si attivino per loro speciali misure di protezione, sottraendoli all’esclusiva competenza dei Comuni, spesso a corto di risorse da destinare a questi scopi. Non sottovaluterei neppure lo strumento dell’affido, che può rappresentare uno strumento di accoglienza per molti di loro.
L’affido ci porta ad affrontare un’altra questione calda, quella dei minori fuori famiglia. Di recente il Garante per l’infanzia ha reso noto che gli ospiti delle comunità sono oltre 19mila. Come commenta questo dato?
Innanzitutto ricordiamo che l’Italia è tra i paesi europei che fanno meno ricorso all’istituzionalizzazione dei minori, e che comunque le comunità non devono essere criticate a priori; semmai occorre garantire che rispondano tutte, in qualunque territorio, agli standard di qualità nazionali. Detto questo, la Commissione Infanzia ha più volte invitato il governo a varare strategie di sostegno alla genitorialità, rinforzando il sistema di prevenzione e protezione dei bambini. Occorre una presa in carico integrata che coinvolge i figli e i genitori e che lavora su più livelli (psicologico, educativo, sociale), unico un intervento appropriato ed efficace che consente di operare nella direzione di un recupero della famiglia, limitando la necessità di interventi sostitutivi (adozioni o affidamenti familiari), che dovranno tuttavia essere attivati nelle situazioni in cui la relazione con i genitori risulti irrecuperabile.
L’obiettivo è dunque che un bambino resti con la sua famiglia?
Diciamo che ritengo inammissibile che si ricorra a istituti o comunità perché il nucleo di origine è povero. Il sistema locale dei servizi va riorganizzato e implementato per favorire il recupero delle relazioni famigliari e promuovere l’attuazione dei diritti del minore in stato di abbandono potenziale. Bisogna infine superare la frammentazione dell’iter adottivo e promuovere, ancora una volta, lo strumento dell’affido. In sintesi, mi sembra di poter affermare che i sistemi di protezione e tutela dei minori devono poter esprimere una serie di possibilità di accoglienza, sia familiare che di altro tipo, ovviamente ancorate a una chiara procedura per la determinazione di ciò che è più appropriato.